Matteo D’Agostino

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Matteo D’Agostino studia jazz nel 1990 con il maestro Lello Panico e comincia a collaborare con varie formazioni di Blues e Jazz. Nel 2000 studia flamenco con il maestro Manuel Santiago e comincia la sua attività musicale in ambito teatrale, come compositore e interprete delle musiche per gli spettacoli di Ascanio Celestini, con il quale si esibisce nei teatri: Argentina, il Valle, l’Eliseo, l’Auditorium di Roma e il Piccolo Teatro di Milano e in trasmissioni televisive su Stream tv, Rai 3, Rai 2, Canale 5.

È autore delle musiche degli spettacoli teatrali Fine del mondo (2000), Radio Clandestina (2000), Cecafumo (2001), Appunti per un film sulla lotta di classe (2006), Fila indiana (2010) di Ascanio Celestini. Collabora con Radio Rai 3 per “Radio Clandestina“, “Il tempo del lavoro” e “Cento Lire” in onda su teatri sonori, e per la serie di racconti radiofonici “Racconti Minonti Buffonti“, “Il tempo del Lavoro” e “Bella Ciao”. Nel 2002 collabora al progetto discografico “Piccole Risonanze” incidendo per il Cd “Le mele” e “Gli Alberi”. Cura l’edizione delle musiche del Cd allegato ai libri “Cecafumo” e “Radio Clandestina” di Ascanio Celestini editi da Donzelli. Organizza al Teatro Vascello la rassegna “Tum Tac Bum – spettacoli e laboratori al ritmo del tamburo“. Organizza per il comune di Ciampino la rassegna teatrale “Festa Festa”.

Nel 2003, 2004, 2008 e 2009 si esibisce al Festival de Liegi (Belgio) e al Théâtre Nacional di Bruxelles, nel 2005 al teatro Nacional de l’Havana, nel 2010 al Théâtre de la Ville di Parigi.

Compone ed esegue le musiche per il documentario “Senza Paura” e “Parole Sante” prodotto dalla Fandango. Nel 2010 firma le musiche di Pecora Nera, il film d’esordio di Ascanio Celestini, in concorso alla 67ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Nel 2010 debutta al Teatro Greco di Roma con lo spettacolo “El Alma Al Aire“, di cui scrive le musiche, della compagnia di danza El Rio Andaluz di Sabrina Logué

Nel 2011 debutta con gli spettacoli di Ascanio Celestini “Canzoni Impopolari” e “Il Razzismo è una brutta storia”, di cui firma le musiche. Ha collaborato tra gli altri con: Sabina Guzzanti, Paola Cortellesi, Frankie Hi Nrg, Vincenzo Cerami, Moni Ovadia.

Compone e esegue musiche per varie Compagnie di danza Flamenca, tra cui El Rio Andaluz Di Sabrina Logué, la Barraca, Flamenco Lunares di Carmen Meloni, Claudio Javarone e per la Compagnia di Caterina Costa.

Tutto è iniziato…
A via della Magliana a Roma c’era un locale chiamato “El Escarabajo” dove facevano tablao. Ci sono capitato per caso, passavo di lì, mi sono incuriosito e sono entrato. Quella sera c’era uno spettacolo con José Parra al cante, Manuel Santiago alla chitarra, e Yaya al Cajon…sono rimasto sbalordito! Mi sono subito informato e appena ho potuto ho cominciato a prendere lezioni di chitarra da Manuel Santiago.

Quando hai capito che il Flamenco sarebbe stato la tua professione?
In realtà ancora lo devo ancora capire se è la mia professione, per me rimane ancora un gioco…con cui mi guadagno da vivere. Mi ritengo molto fortunato!

Hai mai pensato di non farcela?
Quotidianamente. Però quotidianamente mi dico che ce la sto facendo e che non devo preoccuparmi, è una lotta continua con la mia mente.

Chi sono i tuoi punti di riferimento ?
Tantissimi. Per la chitarra flamenca sopra tutti Paco de Lucia, il maestro di tutti. Per un lungo periodo ho ascoltato molto Vicente Amigo. Poi c’è tutta una schiera di giovani chitarristi che promettono benissimo, come Dani de Moron, Diego del Morao, Antonio Rey.
Come cantaor Camaron de la Isla, Guadiana, sono molto affascinato anche da cantaor più “animaleschi” come El Vareta.
Al di fuori del flamenco ascolto compositori classici tra tutti Bach.

Quante ore alla settimana dedichi allo studio?
Se posso studio 8 ore al giorno, la mattina studio tecnica e il pomeriggio scrivo musica mia e studio brani di altri chitarristi.

Qual è stata, se c’è stata, la più grande difficoltà che hai incontrato per raggiungere i tuoi obiettivi di artista?
La più grande difficoltà sono e saranno sicuramente le emozioni negative che fanno perdere la lucidità mentale e distorcono la realtà. Bisogna avere totale lucidità mentale per avere creatività e continuità nello studio. Bisogna lavorare molto affinché la mente sia libera di incamerare informazioni elaborarle e restituirle con una impronta personale…è il lavoro di una vita.

Quali sono le tue inquietudini d’artista?
Purtroppo esiste questo equivoco secondo cui per essere artisti bisogna essere inquieti. La mia inquietudine è esistenziale, proviene dalla vita di tutti i giorni e il mio essere musicista è un modo di esorcizzare le mie inquietudini. Forse l’unico momento in cui non sono inquieto è quando sono su un palco!

Cosa ti fa salire l’ispirazione?
Stare in mezzo alla gente parlare, confrontarsi con altre persone.

Tecnica ed espressività. Che cosa viene prima?
Per me quello che conta è la bellezza e l’armonia, che non appartengono né alla tecnica, né all’espressività! La tecnica e l’espressività sono dei mezzi, quello che per me conta è l’universalità del messaggio che un’artista riesce a mandare attraverso il proprio linguaggio.

Ti senti più artista o più insegnante?
Tutti e due anche se l’insegnamento è un po’ sacrificato ultimamente. Mi piace quando posso insegnare qualcosa, perché incredibilmente riesco sempre ad imparare dai miei allievi, nel senso che vedo in loro le difficoltà che anche io ho provato e provo…però dall’esterno. È un occasione di crescita.

Qual’è il tuo rapporto con gli altri colleghi?
Ottimo! Si cresce insieme e ci si confronta, mi ritengo veramente fortunato. Fra tutti i “colleghi” voglio citare Sabrina Logué e Stefano Arrigoni, con cui va avanti una collaborazione da molti anni, con loro ho imparato ad accompagnare il baile e per questo gli sarò debitore a vita!
Invece tra i musicisti, sicuramente Mattia Rauco, grande musicista e amico di studio e di viaggi in Spagna.

Quali sono i tuoi progetti attuali?
Sto scrivendo musica mia, voglio mettere su un gruppo, registrare un disco, ho tante idee…vedremo!

C’è stato un momento della tua carriera particolarmente emozionante e per questo indimenticabile?
Beh, quando mi sono esibito per la prima volta in un teatro…il teatro Argentina di Roma, chi non sarebbe stato emozionato!

E che cos’è che non hai ancora fatto ma che speri un giorno di fare? Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Una tourneé con un mio spettacolo, con un gruppo con cui condividere esperienze e crescere.

La tua meta ideale: Sevilla, Jerez, Madrid o…?
Direi Granada o Cordoba, visto che non ci sono mai stato. Non sono stato neanche a Madrid, che però non mi affascina un granché per via del caos della grande città.

Tradizione o modernità?
Evoluzione!

Pensi che ‘il Duende’ sia solo una prerogativa del popolo gitano o spagnolo?
Nessuno tra gli spagnoli e gitani mi è mai riuscito a spiegare il termine Duende…sarò di coccio io! A parte gli scherzi, c’è spazio espressivo per tutti nel flamenco, a vari livelli. Basta avvicinarsi alle fonti, quindi andare in Andalucia ed immergersi un po’ nella loro cultura con curiosità e rispetto.

Il tuo più grande difetto e il tuo più grande pregio come artista e come persona
Il difetto è vivere poco nel presente, il pregio è che me ne rendo conto ogni tanto.

La prima letra che ti viene in mente…
Me lo como too…me lo como tooo!

A che cosa pensi un momento prima di salire sul palcoscenico?
Stai calmo, andrà tutto bene!

L’ultimo libro che hai letto?
Il cervello sociale di Michael Gazzaniga, un neuroscenziato.

Un consiglio per i nostri lettori che vogliono fare del flamenco la loro professione
Essere curiosi, confrontarsi con vari maestri e allievi, in Spagna e in Italia. Vedere molti spettacoli e ascoltare mooooolta musica, cante e chitarra. Per i ballerini secondo me potrebbe fare la differenza studiare solfeggio ritmico.

Il flamenco in una parola
Se vabbè, è ‘na parola!

Grazie a Matteo! Per chi volesse approfondire:

Intervista e Editor: Katia Di Leo

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